Ero indecisa fino all’ultimo istante se andare al festival della Musica Importante a Milano. Fino a quando non mi è venuta la malsana idea di fare le pulizie a casa con i Prozac + in cuffia. Che poi i Prozac + non li apprezzavo a pieno quando avevo 15 anni. Mi piacevano solo perché a quella età vuoi solo ascoltare la musica “ribbbbelle”, un po’ punk, un po’ da pogo. L’effetto che i Prozac + possono avere a 30 e passa anni è al massimo quello di cantare “A-ci-do a-ci-da a-ci-do a-ci-da” con il mocho Vileda in mano, di tirare degli spintoni all’asse da stiro, di lanciarti sulla pigna di vestiti (che tua mamma) deve stirare.
Poi mi sono decisa: vado. Da sola, ma vado. Adelia mi abbandona, ad attendermi Serena con i suoi amici. Outfit da pseudo Coachella: foulard urban-afro in testa, gazzelle rosse comode per la scarpinata kilometrica dal parcheggio alla venue, gonna di jeans ricavata da un paio di Levis 501 con i bottoni (chi a fine anni ’90 non ha chiesto alla mamma o alla nonna con abilità da sarta di adattare pantaloni di jeans e trasformarli in gonna?). E la chicca: shopping bag con il manifesto rosso del Woodstock. Che tanto metà dei millenials lì presenti nemmeno sa di che si tratti. 🙂
Parcheggio abbastanza facile. Arrivo e trovo Francesco Italiano (ndr manager dei Belize e tour manager di Ghemon) sul percorso. Quattro chiacchiere e senza accorgercene eravamo già dentro senza fare coda. Tutto tranquillo. Giro tra gli stand per vedere quali “cazzatelle” comprare come souvenir, una tradizione da quando ho messo piede al MI AMI per la prima volta nel 2012. “No, niente trasferelli (i tatuaggetti lavabili) quest’anno Anna. Hai un’età”. Punto una t-shirt con la scritta DASOLA (e delle toppe a forma di penicottero. Sì, avete capito bene: PENIcotteri rosa, ovvero fenicotteri a forma di pene o peni a forma di pink flamingo, come preferite). Mi trattengo e opto per la scelta + sobria. Prendo solo la t-shirt. Però tagliata sotto perché è troppo lunga “ma io non ho mai portato l’ombelico di fuori! nemmeno a 14 anni!”. “Fa niente”, dice il ragazzo dietro lo stand che all’improvviso diventa il mio fashion consultant. “Quest’anno si usa così!”. Va bene, mi fido. Al max la metto per dormire come pigiama.
Per la prima volta in anni riesco a vedere tutti gli artisti che mi ero prefissata di vedere.
Iniziamo con un gin lemon (comprato con un gettone fucsia del Magnolia nel mio portafoglio da circa 2 anni) e la saudade dei Selton. Sound brasileiro as usual, i pezzi nuovi e mai sentiti del nuovo disco “Manifesto Tropicale” e quelli più noti di “Loreto Paradiso”. Serena accanto a me le cantava tutte con un portoghese perfetto. Io continuavo a sorseggiare il mio gin lemon ormai diventato ghiaccio.
Cenetta a base di patatas bravas e frito mixto (chi mi conosce bene sa quale gioia possa provare appena vedo cibo spagnolo, persino fritto) in uno dei tanti food track a disposizione. Io e Serena iniziamo ad usare tutta una serie di termini inglesi da producer per non farci capire dai comuni mortali. E perché oggettivamente “camioncino del cibo” suona proprio male male.
Si prospetta una serata nostalgica a partire da i Tre Allegri Ragazzi Morti, ascoltati nell’unico punto in cui si respirava (sul lato sinistro del palco). Che poi ti chiedi: ma come fa Toffolo con quel pellicciotto addosso a non morire a fine concerto? Misteri. Anzi no. E’ già morto. Allegro e morto, dimenticavo. 🙂
E poi Colapesce sulla collinetta, il luogo più bello per viversi i concerti del MI AMI e non solo. Un posto suggestivo, il punto ideale anche per limonare con un batterista che si è appena esibito sul palco, ad esempio :-P. Shift tra profano e sacro e arriviamo finalmente a parlare di Colapesce vestito da prete. Deliri da infedele a parte come benedire la folla con dell’acqua e bruciare sul palco la scaletta, è stato un concerto strepitoso. Uno show che però stona quando inizia a cantare “restiamo in casa, l’amore è anche fatto di niente”. Detto da un prete non è credibile. A meno che non stia parlando dello Spirito Santo.
La concomitanza in scaletta con i Prozac + (il vero motivo per cui sono lì al MI AMI) ci costringe a scappare verso il palco principale, giusto in tempo per “Betty tossica”, “una eroinomane la più bella che c’è”. Ci guardiamo intorno e il pubblico è davvero eterogeneo: ragazzi nati a metà anni ’90 che andavano alle elementari quando uscì il disco “Acidoacida” e gente che è dal 1998 non si è più ripresa dall’hardcore e dalle droghe sintetiche. E poi io e Serena che tentavamo di proteggerci dagli accenni di pogo che nascevano su “quando il cielo ride, lalalalalalaaaaa” di “Angelo”.
Si tolgono i panni delle adolescenti punk e si ritorna alla collinetta a vedere gli ultimi brani di Colapesce.
Rumors tra il pubblico: si vociferava, infatti, che ci fosse da lì a poco una sorpresa sul palco da parte degli Afterhours (un po’ come Calcutta la sera prima), avvistati dietro le quinte del palco principale.
Dopo qualche istante ad aspettare che Manuel Agnelli sbucasse da qualche palco, ce ne torniamo a casa disillusi, scossi, agitati, un po’ nervosi ma… pienamente soddisfatti del MI AMI di quest’anno. Voto 8+.
Anna